SIMONE ABONDIO

Mi chiamo Simone, ho trent’anni e vivo la mia quotidianità sospesa tra famiglia, passioni e lavoro.

Sono papà di una meravigliosa bambina di cinque anni e mi sono sposato nel 2023. Ho frequentato l’alberghiero di Gattinara e, subito dopo la scuola, ho avuto la fortuna di potermi lanciare in un’esperienza lavorativa unica in una cucina di Kilkenny, in Irlanda. Per anni ho lavorato come cuoco, imparando il valore della precisione, della creatività e del lavoro di squadra. Nel 2018 ho deciso di ampliare il mio percorso diventando sommelier, unendo tecnica e passione per sentirmi più vicino al mio territorio. Ora, la mia vita professionale si svolge all’interno dello stesso Istituto che frequentavo, dove insegno e lavoro ogni giorno a stretto contatto con ragazzi con disabilità. È un compito che richiede empatia, ascolto e dedizione, ma che restituisce ogni giorno qualcosa di prezioso. A trent’anni e con una famiglia alle spalle, continuo ostinatamente a credere di essere ancora in piena adolescenza. Forse è proprio per questo che mi sento a casa tra i corridoi della scuola. Ogni giorno ho la fortuna di confrontarmi con menti giovani e vivaci che, senza nemmeno rendersene conto, mi insegnano a vivere con una leggerezza dimenticata, quella che rende il peso della vita un po’ più sopportabile. Grazie a loro riesco a custodire il mio bambino interiore, a tenerlo vivo attraverso le stesse passioni che mi smuovevano da ragazzo, come se, lì dentro, il tempo avesse deciso di rallentare. Nel mio tempo libero coltivo mille passioni: sono un nerd dichiarato che varia dall’essere un lettore e collezionista compulsivo di manga al trascorrere ore a guardare anime e serie tv. Cresciuto tra joystick e dadi, ho sempre giocato a videogiochi fra pc e console, ma la mia “fuga” preferita rimane l’immersione in mondi alternativi: come master di giochi di ruolo, sfrutto la narrazione e l’immaginazione per evadere, vivendo vite e avventure che altrimenti apparterrebbero unicamente al nulla. E poi scrivo. Scrivo perché ne sento il bisogno, perché ci sono storie dentro di me che vogliono uscire. Lo faccio per creare, per esplorare, per dare voce a personaggi che, forse, vivono in ognuno di noi.